Le lesioni muscolari indirette
La lesione non strutturale e strutturale
Il danno muscolare costituisce certamente il più frequente tra gli infortuni correlati alla pratica di attività sportive. Ciò nonostante per molto tempo l’inquadramento diagnostico ha sofferto di una carenza di categorizzazione e descrizione delle lesioni, uniforme e condivisa, tanto da condizionare una limitata valutazione prognostica e un difficoltoso percorso terapeutico. Per gran parte del secolo scorso la definizione diagnostica della lesione muscolare era basata esclusivamente sulla valutazione clinica soggettiva, e quindi sulla esperienza del singolo specialista, in base alla quale le lesioni venivano clinicamente differenziate in modeste e severe, oppure in lesione distrattiva o contusiva, in base al meccanismo di lesione.
Soltanto nel 1966 l’American Medical Association (AMA) Committee propose la distinzione in 3 gradi del danno muscolare (lieve, moderato, severo), sempre basato su criteri clinici. Negli anni ’80 l’avvento di metodiche imaging capaci di rappresentare il danno anatomico muscolare, come l’ecografia e la risonanza magnetica, ha portato di inserire al fianco dei criteri clinici, che sino a quel momento erano stati gli unici elementi di valutazione, le caratteristiche strutturali della lesione muscolare e la sua precisa localizzazione anatomica tra i parametri di valutazione e di classificazione dell’incidente traumatico muscolare. Anzi, dopo gli anni ’80 la definizione della lesione muscolare divenne decisamente imaging-dipendente e l’inquadramento della lesione veniva prioritariamente rapportata alle caratteristiche anatomiche del danno subito.
Sulla base dei reperti imaging (ecografici e RM), quindi, a cui si cercava correlazione con il quadro clinico, le lesioni traumatiche muscolari venivano distinte (Takebayashi,1995; Peetrons, 2002; Stoller, 2007) in tre gradi di severità in base all’estensione della lesione (grado 1, lieve; grado 2, moderato; grado 3, severo) (Tabella A); si trattava di un metodo classificativo oggettivo e riproducibile, che tuttavia mostrava una insoddisfacente correlazione con il giudizio prognostico del “return to play”.
Questo perché la definizione della lesione era sbilanciata piuttosto verso il riconoscimento oggettivo dell’entità del danno anatomico, ottenibile con ecografia e RM, e meno sul riscontro clinico dell’infortunio muscolare e sul meccanismo patogenetico di lesione.
Proprio per migliorare tale limite prognostico, sono stati elaborati altri metodi classificativi nei quali è stato maggiormente considerato l’aspetto clinico del giudizio, particolarmente quello prognostico in riferimento al “return to play”, sempre in correlazione con il corrispondente quadro imaging. Gli schemi classificativi proposti da Askling (2006) e da Comin (2013) hanno sottolineato l’importanza della sede anatomica di lesione del muscolo, sottolineando il differente significato prognostico a seconda che la lesione abbia riguardato la giunzione mio-tendinea, o abbia leso l’asse aponevrotico centro-muscolare, o che la rottura si sia verificata a livello della giunzione mio-fasciale. Successivamente, è stato introdotto un ulteriore criterio di valutazione che, in abbinamento ai precedenti, consentiva di distinguere le lesioni muscolari anche in base al pato-meccanismo lesivo che le aveva prodotte (The Munich consensus statement, 2013) (Tabella B).
In base a questo criterio, una prima distinzione delle lesioni traumatiche muscolari è quella che le differenzia in lesioni da trauma indiretto (danno muscolare da elongazione) e lesioni da trauma diretto (danno muscolare da contusione).