Abstract
Partendo dal presupposto che la maggior parte dei colpi nel tennis è di natura torsionale, lo specialista americano Jeffrey Saal sottolineava come questo tipo di azione rotatoria possa danneggiare soprattutto il rachide lombare. E questo perché il tratto della colonna in oggetto consente agli arti inferiori di esprimere la massima potenza durante l’esecuzione di un particolare gesto tecnico. Un’analisi della situazione.
Premessa
Partendo dal presupposto che la maggior parte dei colpi nel tennis è di natura torsionale, lo specialista americano Jeffrey Saal sottolinea come questo tipo di azione rotatoria possa danneggiare soprattutto il rachide lombare. E questo perché il tratto della colonna in oggetto consente agli arti inferiori di esprimere la massima potenza durante l’esecuzione di un particolare gesto tecnico (Saal, 1996).
Gli studi
Svezia, isola felice. Nonostante il paese – con il miglior livello di Welfare e servizi pubblici, intendiamoci – abbia una pressione fiscale elevata (lo stesso Stefan Edberg se ne sottrasse rifugiandosi in Inghilterra) e non contempli più tennisti di rango ormai da molti anni, lo sport delle racchette può vantare circa 550.000 praticanti. Di questi, in continuo aumento, il 20% fa parte di un tennis club i cui membri sono nella maggioranza donne (30%) e, sulla scia della fortunata eredità lasciata da Borg, Edberg e Wilander, ragazzi (50%). La disamina sulle ricerche riguardanti l’incidenza del dolore lombare nel tennis inizia partendo da uno studio prospettico – datato giugno 2010 – eseguito proprio nella terra scandinava (Hjelm, Werner, Renström, 2010). Precisamente, in quel di Stoccolma (Dipartimento di Medicina molecolare e chirurgia), Hjelm, Werner e il più conosciuto Renström hanno evidenziato – in 55 tennisti di età compresa tra i 12 e i 18 anni – diverse tipologie di infortuni localizzati soprattutto a livello del tratto lombare (21 casi). A seguire, compromessa più o meno severamente è risultata l’articolazione dell’anca, poi l’articolazione delle ginocchia ed infine l’articolazione della spalla ((Hjelm, Werner, Renström, 2010). Non è stata evidenziata una differenza significativa nella distribuzione delle lesioni tra soggetti di sesso maschile e femminile. In accordo con Fuller e colleghi, il criterio di severità dell’infortunio si riferiva al numero complessivo di giorni di assenza dall’allenamento, ovvero dal giorno dell’infortunio del giovane tennista a quello in cui lo stesso è tornato ad una completa partecipazione all’attività sportiva (livello pre-infortunio) (Fuller, 2006). Solo ad un primo acchito oscuro, il messaggio sotteso (e forse neanche inteso dagli autori svedesi) al presente studio – la ratio consisteva nell’analizzare gli infortuni connessi all’attività tennistica in giocatori juniores nell’arco di due anni – è facilmente comprensibile esaminando con cura le statistiche riportate. In breve, le cause più comuni di infortunio sono ascrivibili proprio a quelle pericolose condizioni ricordate nel presente lavoro e che non saranno certamente sfuggite al paziente e attento lettore: 1) la fase di esecuzione del colpo e 2) l’intensità dell’allenamento. Verosimile interpretazione: 1) posizione aperta (spalle parallele rispetto alla rete) e 2) elevato numero di ore dedicate all’allenamento e/o volumi complessivi elevati di carico allenante. Altri studi, qui solo brevemente richiamati.
Secondo Krahl, le cause più frequenti di lesioni, a livello della colonna lombare, sono da attribuirsi ai carichi considerevoli indotti dai diversi movimenti tipici del tennis (iperestensioni, torsioni e flessioni laterali) (Krahl, 1996). In uno studio retrospettivo di Marks, Haas e Wiesel, su 143 tennisti professionisti il 38% è stato costretto, almeno una volta, a rinunciare alla partecipazione a un torneo del circuito ATP a causa di dolori lombari.
Infine, Chandler e colleghi hanno notato un’elevata frequenza di algie lombari in giovani tennisti professionisti, oltre a una flessibilità notevolmente ridotta del tratto inferiore della colonna vertebrale, rispetto agli altri sportivi esaminati (Marks, Haas, Wiesel, 1988).
Il servizio
Durante il servizio la fase di caricamento, che precede la violenta accelerazione dei segmenti corporei necessaria al trasferimento dell’energia elastica accumulata, può concorrere all’etiopatogenesi di alterazioni della normale struttura rachidea (Lisi, 2007). Le sollecitazioni associate si ripercuotono maggiormente sull’arco vertebrale lombare che, soprattutto durante il servizio lift, è sottoposto a un movimento di iperestensione e rotazione (Fig. 1). In questa situazione, le vertebre lombari sostengono carichi elevati, sia a livello del disco intervertebrale sia delle faccette articolari. La reiterazione dei carichi e il verificarsi di anomalie dinamiche (es.: errori nell’esecuzione del movimento) sono la premessa per le ben note degenerazioni discali ed ossee che portano alla compressione dei fasci nervosi. La compressione dei fasci nervosi è la diretta causa dell’insorgenza del dolore localizzato e periferico.
Tra l’altro, nei casi in cui il giocatore lancia la palla indietro, le spalle e la pelvi si dissociano (la dissociazione spalle-pelvi sta ad indicare che, mentre le spalle ruotano in un senso, la pelvi o resta fissa o ruota in senso contrario, determinando perciò una dissociazione del movimento). L’impatto con la palla è accompagnato da una rapida inversione della rotazione del rachide lombare, che viene letteralmente lanciato dall’iperestensione e rotazione in senso antiorario all’iperflessione e alla rotazione in senso orario. Questo movimento a spirale trasferisce la forza di torsione ai segmenti spinali (Lisi, 2007; Lisi, 2010)