Abstract
La sindrome dolorosa alla spalla è tra gli infortuni più diffusi nel mondo della pallavolo. Conoscerne le cause è fondamentale per evitarla ma allo stesso tempo è necessario sapere come agire in modo preventivo, non solo durante la fase di preparazione ma anche nel corso della stagione attraverso alcune proposte pratiche.
Nell’arco di una stagione di pallavolo di una squadra di alto livello, le atlete si trovano ad affrontare una media di sette-otto allenamenti settimanali, tra sedute in sala pesi e altre in campo, che spesso durano almeno due ore ciascuna. Oltre alla partita del weekend. Il monte ore settimanale di lavoro diventa quindi molto importante e questo comporta l’aumento del rischio di incorrere in infortuni da sovraccarico. In ambito pallavolistico uno di quelli più temuti è quello alla spalla, in quanto questa problematica rappresenta un fattore invalidante per l’atleta, che utilizza la spalla nella stragrande maggioranza delle sue azioni in campo.
Questo tipo di complicazione fisica, che colpisce l’articolazione della spalla, viene definito con il nome generico di sindrome dolorosa alla spalla. Rappresenta la sensazione dolorosa localizzata a livello di una o entrambe le spalle e può avere la sua origine dai muscoli, dall’articolazione o da elementi circostanti, come i tendini, i legamenti, le capsule e le borse, e irradiarsi lungo tutto l’arto superiore, verso il collo e il torace. Rappresenta il terzo tipo di infortunio più comune nella pallavolo, dopo la distorsione alla caviglia e la tendinopatia rotulea. Questa problematica è molto fastidiosa in quanto, oltre a rendere difficoltosa all’atleta la gestione dell’allenamento nelle prime fasi della sua insorgenza, porta a un’assenza da sedute e competizioni di circa 6,5 settimane di media quando l’infortunio è di entità maggiore.
La tipologia di insorgenza è molto subdola, in quanto nelle prime fasi la giocatrice riesce comunque ad allenarsi, seppur con la comparsa di dolore, ma se questo non viene risolto sfocia in un vero e proprio infortunio che rende impossibile la partecipazione a una normale sessione, dove sono richieste diverse decine di colpi di attacco, battute e azioni di muro, che mettono sotto stress l’articolazione della spalla, già colpita dalla sindrome dolorosa. La grande maggioranza dei problemi alla spalla in una pallavolista è da imputarsi a un sovraccarico determinato dal reiterato superamento della capacità di tollerare certi carichi che alla fine porta a un’infiammazione generale dell’articolazione coinvolta.
A seguito di questa infiammazione viene ridotta la capacità di effettuare la prestazione richiesta, con conseguente necessità di fermare l’atleta dall’allenamento o puntare su una riduzione del carico cui viene sottoposta. Spesso la giocatrice può continuare a svolgere la propria attività nonostante il dolore in quanto all’inizio lo può percepire di lieve entità, ma questo determina un continuo incremento del livello di sovraccarico. Attraverso le analisi statistiche si è visto che gli infortuni da sovraccarico si attestano a 0,6 ogni 1.000 ore di lavoro, fra partite e allenamenti, anche se questo dato è molto sottostimato in quanto il dolore alla spalla viene definito come infortunio solo quando costringe l’atleta a sospendere l’attività per dedicarsi al recupero. Molto di frequente però la giocatrice con sindrome dolorosa alla spalla non si ferma nonostante il dolore, in quanto non lo ritiene limitante nello svolgimento della seduta e della partita.
Questo tipo di problematica non ha un’unica causa, ma spesso sono diverse. Combinate tra loro possono determinare la sua insorgenza. Tra le principali possiamo ricordare:
- il numero di attacchi e di battute che si effettuano durante un allenamento;
- gli anni di pratica dell’attività, che provocano un incremento del sovraccarico sopportato dalla spalla di anno in anno e la presenza di precedenti infortuni;
- l’attività svolta durante la fase di off-season; in questo momento della stagione molte atlete si dedicano all’attività su sabbia, con numerosi tornei di beach volley, che vanno a determinare un incremento del sovraccarico per la spalla;
- il limitato range di movimento della spalla, dovuto a fenomeni di accorciamento e/o irrigidimento delle sue strutture posteriori, che a loro volta determinano una limitazione della mobilità dell’omero sulla spalla;
- gli squilibri di forza nella cuffia dei rotatori, che di frequente sono provocati da una riduzione di forza dei muscoli extrarotatori.
Proprio gli squilibri muscolari sembrano in grado di predisporre la spalla allo sviluppo di patologie da sovraccarico. La ratio tra la forza isocinetica eccentrica nell’extrarotazione e concentrica nell’intrarotazione permette di predire il rischio di infortunio alla spalla e può anche essere usato come parametro per determinare quando un’atleta infortunata è pronta per tornare alla normale attività. Un deficit nella rotazione interna dell’articolazione gleno-omerale, che superi del 10% l’arco di rotazione della spalla controlaterale, va considerato un fattore di rischio molto importante che potrebbe determinare un infortunio nelle atlete overhead. Inoltre, va sottolineato anche il fatto che le atlete overhead che soffrono di dolore alla spalla, presentano spesso una debolezza della muscolatura del core e questo, secondo Burkhart et al. (2003), è sintomatico del fatto che devono sovraccaricare l’articolazione della spalla nel tentativo di compensare una forza insufficiente generata dal core nella prima fase del movimento di attacco.
La prevenzione
Nell’arco della stagione sportiva, soprattutto in precampionato, risulta fondamentale dedicare il giusto tempo agli esercizi di prevenzione per la spalla, che devono essere accompagnati da adeguati lavori di rinforzo della muscolatura posteriore. Nelle prime fasi della pre-season la prevenzione è fondamentale per preparare la muscolatura a quelle che saranno le richieste derivanti dal lavoro puramente tecnico che, generalmente, si svolge nelle prime settimane. Una volta che la muscolatura della spalla sarà adeguatamente preparata allo sforzo, si potranno inserire lavori di potenziamento che abbiano lo scopo di aumentare la forza e quindi la capacità di sopportazione del carico della muscolatura posteriore, per far sì che la spalla delle nostre atlete sia in grado di soddisfare le crescenti richieste dal punto di vista tecnico.
Per cercare di ridurre il rischio di infortunio da sovraccarico, sarebbe opportuno seguire un programma di resistance training, che si articoli in più fasi, ciascuna delle quali deve porre il focus su aspetti differenti, come ad esempio il lavoro eccentrico, quello per mantenere la coordinazione nelle funzioni della scapola e della cuffia dei rotatori e l’intervento finalizzato al mantenimento di un adeguato livello di forza della muscolatura. Risulta inoltre determinante, come si è detto in precedenza, sottoporre le atlete a un adeguato programma di rinforzo della muscolatura del core per evitare che una carenza di forza di questo distretto determini un sovraccarico a livello della spalla per compensare la carenza di forza generata dal core.
Ora che abbiamo delineato brevemente il problema relativo alla sindrome dolorosa alla spalla e ne abbiamo capito le principali cause, nella seconda parte di questo articolo andiamo a vedere alcune proposte pratiche utili per prevenire la sua insorgenza o per riabilitare l’atleta nel caso in cui non sia stato possibile evitare la comparsa del dolore. Li abbiamo suddivisi in esercizi di:
- rinforzo e controllo della scapola;
- rinforzo per gli extrarotatori;
- di rinforzo della muscolatura posteriore.
La pratica
Esercizi di rinforzo e controllo della scapola
Il primo esercizio si svolge in quadrupedia, con le mani sotto le spalle e le ginocchia sotto le anche. Da questa posizione si lavora con le scapole che vengono stabilizzate sul torace e, senza flettere mai i gomiti, inspirando e spingendo con le braccia, si portano in fuori, mantenendole ben adese al torace stesso. Si lavora quindi in adduzione e abduzione delle scapole. Si può mantenere la posizione finale per qualche secondo e poi, lentamente, espirando si ritorna a quella di partenza per poi ricominciare. Nelle foto 1, 2 e 3 l’esercizio. Il secondo esercizio è molto simile e rappresenta una perfetta progressione di difficoltà rispetto alla prima proposta; si svolge posizionandosi come se si dovessero eseguire dei push up, con le ginocchia estese e in appoggio sulle mani e sui piedi. Da questa posizione si esegue lo stesso movimento scapolare dell’esercizio precedente, ma con un carico decisamente maggiore. Nelle foto 4, 5 e 6 l’esecuzione.
Un’altra soluzione importante per gli adduttori delle scapole consiste nel partire da proni, su un lettino o una panca, con le spalle a 90° di abduzione e i pollici che guardano verso l’avanti. Da questa posizione si sollevano le braccia portandole perpendicolari al tronco, eseguendo un’adduzione delle scapole e una depressione delle stesse. Queste devono stringersi e abbassarsi. Arrivati alla posizione finale, la si mantiene per qualche secondo riportando poi le braccia a quella di inizio (la sequenza è nelle foto 7, 8 e 9). Sempre per il controllo e il rinforzo della muscolatura delle scapole è importante anche una proposta partendo da in piedi, con il viso rivolto al muro e le braccia tese verso l’alto.
Da qui si adducono le scapole e il movimento inizia piegando piano piano il gomito e portando le braccia stesse verso il basso con i gomiti stessi che si avvicinano il più possibile ai fianchi. Arrivati alla posizione finale si riparte in senso contrario, sempre con un movimento lento e controllato, per andare a riportare le braccia tese verso l’alto. Il tutto è indicato nelle foto 10, 11 e 12.