Nella mia lunga carriera di medico ho avuto il piacere di prendere parte a ben 6 Coppe del Mondo, la prima nel lontano 1962, l’ultima nel 1982 quando abbiamo conquistato il primo posto battendo la Germania nella finalissima del Santiago Bernabeu. Tutte esperienze uniche sia dal punto di vista umano sia da quello sportivo. Certo, il calcio attuale ha subìto una fortissima evoluzione per quanto riguarda l’allenamento, la tattica e le tecnologie. Ma penso che in eventi del genere ciò che può fare veramente la differenza sono le interazioni che si creano tra i giocatori stessi e con tutto lo staff. E la parola “gruppo” è quella che conta davvero. Una squadra che sta bene insieme è il punto di partenza per arrivare al successo e quello che ci è accaduto nel 1982 è la riprova di ciò. E lo stesso vale per la vittoria del 2006.
Il Mondiale, poi, non è una lunga corsa a tappe, ma una gara di breve velocità dove tutti i dettagli devono essere considerati con grandissima attenzione. Compito dello staff è quello di essere “vigili” e di estremo buon senso su tutte quelle situazioni che possono nascere. Le tensioni in una competizione come questa sono altissime, le ho vissute direttamente e ho visto come i calciatori sentano sulla propria pelle. Ci vuole gente volitiva, di coraggio, di responsabilità, che sa mettere il “noi” davanti “all’io”. Giocatori che desiderano raggiungere il traguardo con tutte le proprie forze. E a tal proposito, permettetemi di raccontarvi un aneddoto di Messico 1970, del famoso 4-3 contro la Germania. Domenichini era super affaticato, non serviva un medico per capire che era in difficoltà fisica, ma quando venne da me, mi guardò negli occhi e mi disse “Dottore, non voglio uscire, ce la faccio!”. Considerate che aveva tutta la saliva “appiccicata” e “seccata” sulle labbra. Ma era pronto a darmi un “cazzotto” (e forse me l’ha dato davvero) pur di finire quella partita. Ecco perché il compito dello staff è anche quello di conoscere davvero i propri uomini, sapere cosa sono pronti a fare per vincere un Mondiale!
Di storie in questi 24 anni a cavallo dei 6 Mondiali ce ne sono tante e, se dovessi cercare un filo conduttore tra tutte queste, è la personalità che hanno dimostrato i protagonisti nei momenti più difficili. Come quella di Gigi Riva all’Europeo del 1968, che ha fatto di tutto per recuperare dalla pubalgia e giocare la ripetizione della finalissima, unica gara in cui è sceso in campo, realizzando il gol dell’1 a 0.
Insomma, in appuntamenti come quello che inizierà il prossimo giugno sono indispensabili tante componenti per essere protagonisti: i particolari fanno sicuramente la differenza, insieme alla gestione dell’allenatore (che deve avere un grande carisma) e ai piccoli ma fondamentali interventi di tutto lo staff. La cosiddetta “squadra invisibile” è fondamentale per vincere come mi è successo nell’ottantadue.
Distico
Prima della finalissima a Madrid, il presidente Pertini voleva a tutti i costi venire a salutare la squadra negli spogliatoi. Ma l’etichetta voleva che rimanesse in tribuna d’onore. Con una scusa, però, si “libererò” del re Juan Carlos e ci raggiunse! Ci trasmise una carica incredibile, stette con noi per molto tempo… finché ci disse: “Scusate, ma mi sono dimenticato del… re”.
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