La preparazione atletica per il pilota di Formula 1

La preparazione atletica per il pilota di Formula 1

Andrea Ferrari

Abstract

La Formula 1 rappresenta uno degli sport motoristici più affascinanti e seguiti in tutto il mondo. Questo articolo vuole raccogliere i dati presenti in letteratura per definire il profilo fisiologico del pilota e integrarlo con analisi e spunti al fine di offrire una panoramica della disciplina caratterizzata da importanti carichi dovuti ad accelerazioni e decelerazioni oltre che ai fattori di stress ambientali.


La storia della Formula 1 (F1) inizia nel 1948 diventando in soli due anni una categoria a livello mondiale; rappresenta il massimo livello di vetture monoposto a ruote scoperte da corsa su circuito definita dalla Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA). In oltre 70 anni varie cose sono cambiate, a partire dai regolamenti di gara, dai circuiti e ovviamente dalle caratteristiche delle automobili. I piloti hanno dovuto sin da subito dimostrare capacità fisiche e cognitive per affrontare le peculiarità del tipo di sport: oltre a necessitare di un’ottima tecnica alla guida, devono sostenere uno sforzo fisico e attentivo per un tempo prolungato, nonché rispondere agli stress imposti dal tipo di competizione. Stress che includono accelerazioni e decelerazioni, sia frontali sia laterali.

Con il progredire della tecnologia e il miglioramento delle caratteristiche tecniche dei veicoli, vi è stato un progressivo incremento delle capacità tecniche, fisiche e cognitive richieste ai piloti stessi che devono reagire in maniera sempre più rapida e precisa, sopportando carichi importanti e svolgendo lavori multitasking. Nonostante l’automobilismo sportivo sia un evento che richiama l’interesse di molte persone, poco si sa su quello che riguarda lo sforzo che un pilota deve sostenere per concludere una gara. Per molti, se non per la totalità degli addetti ai lavori, il pensiero più diffuso è che il risultato finale della competizione sia dato dalla macchina, considerata una variabile, moltiplicato per il pilota, considerato una costante. Detto in altre parole, a parità di talento dei piloti vince quello che ha la macchina migliore.

Questo articolo, al contrario, intende dimostrare che anche il pilota rappresenti una variabile e quindi le sue prestazioni siano migliorabili, come quelle di qualunque altro atleta, in quanto sottoposto a intensi carichi di lavoro, sia fisici sia mentali, come avviene in tutti gli sport. Verranno quindi riassunte le principali capacità richieste, individuando i punti fondamentali che dovrebbero essere affrontati nel contesto della preparazione atletica al fine di favorire la massima performance e il mantenimento di uno stato di salute ottimale per l’atleta. Verranno inoltre descritte le principali risposte fisiologiche caratteristiche di questa disciplina al fine di comprendere e guidare lo sviluppo di protocolli di allenamento e preparazione.

La fisiologia del pilota

I piloti di sport motoristici sono sottoposti a numerosi stress emozionali e fisici, necessari a gestire l’automobile quando viene richiesta una precisione e una capacità di adattamento in tempi molto brevi, senza particolari differenze tra maschi e femmine (Ferguson et al., 2019) ma che si rivelano importanti già nei giovani (Raschner, Platzer & Patterson, 2013). Il sistema neuromuscolare, durante la guida sportiva di una monoposto tramite un continuo inserimento e disinserimento di unità neuromuscolari, si adegua al cambiamento dei momenti di forza del peso e alle variazioni di velocita specifiche del movimento. Lo sforzo muscolare e particolarmente importante, in quanto necessario a resistere alle importanti accelerazioni e decelerazioni che possono arrivare fino a 7 “g” e avere una direzione laterale o antero-posteriore durante la guida.

Per quanto riguarda il pilota, i distretti muscolari maggiormente impegnati, sono: braccia, avambracci, gambe e collo, soprattutto nella percorrenza di una curva e durante le accelerazioni, le frenate e le ripartenze. Essendo il corpo ben immobilizzato dalle cinture di sicurezza, l’unica parte non vincolata rimane la testa; di conseguenza i muscoli del collo devono opporre una forte resistenza per impedire che questa venga spinta a inclinarsi dal lato opposto della curva, posizione che renderebbe impossibile la completa visibilità. Questo fa si che, ad esempio, la muscolatura del collo e delle spalle possa essere sottoposta a un carico che puo raggiungere fino 50 kg, considerato il peso della testa e del casco di protezione, rivelandosi superiore nei piloti di Formula 1 in confronto a quelli di altre competizioni automobilistiche (McKnight et al., 2019). Nonostante questo, va considerato comunque che tutto il corpo, essendo ancorato alla macchina, subisce le forze “g”.

A seconda delle varie tipologie di circuito anche l’impegno muscolare risulta differente. È possibile quindi andare a collocare l’impegno muscolare richiesto sui diversi circuiti (figura 1). Andando ad analizzare un giro effettuato sul circuito di Austin (USA), se si moltiplica il peso della testa (con il casco), che all’incirca si aggira intorno ai 7 kg, con i valori di “g” stimati, risulta che il pilota debba contrastare coi muscoli del collo una forza-peso che per qualche istante può superare anche i 36,4 kg. Piu nel dettaglio, il valore medio delle 20 curve che compongono il circuito e quantificabile in 3,6 “g”, quindi i muscoli del collo del pilota devono sopportare una forza peso di circa 25 kg per curva.

Pertanto, se si volesse stimare il volume totale di carico della muscolatura del collo in una direzione, considerando che nell’arco di un giro la forza-peso che il pilota deve contrastare e pari a 250 kg, moltiplicato per i 56 giri di una gara, risulta all’incirca di 14.000 kg. A questi, poi, vanno aggiunti i 23,5 kg medi che a ogni frenata tendono a proiettare la testa in avanti (3,36 g longitudinale), con picchi superiori ai 40 kg dovuti a decelerazioni che possono superare i 5 “g”. Nell’arco di un giro, dunque, oltre la necessita di compensare le accelerazioni laterali, la muscolatura deve contrastare anche la forza peso in senso antero-posteriore di 200 kg che, moltiplicato per il numero di giri della gara (56) e pari a 11.200 kg.

Oltre alla muscolatura del collo, anche altri distretti sono sottoposti a particolari carichi. Ad esempio, le accelerazioni laterali sono responsabili anche della fatica a carico delle braccia, essendo all’origine di quella spinta (accelerazione laterale) che in curva tende a riportare il volante dalla parte opposta. Dato che il carico aerodinamico della vettura e direttamente proporzionale alla velocità, più questa si eleva più aumenta la pressione che tende a “schiacciare” la macchina contro l’asfalto, con conseguente aumento della forza che il pilota deve applicare sullo sterzo per affrontare una curva.

Inoltre, prendendo ancora ad esempio il circuito di Austin, vi sono curve in cui per effettuare una frenata il pilota deve imprimere sul pedale una forza peso media pari a 875,7 N pari a 89 kg con picchi di 1.654 N – 169 kg. La somma dei kg per frenata in un giro e pari a 893 kg, valore che deve essere moltiplicato per i 56 giri che servono per completare la distanza di un Gran Premio, per un totale di 50.008 kg. Da prendere in considerazione che la frenata avviene con la gamba sinistra: a fine corsa in alcuni casi, se non compensato bene con la gamba destra, si osserva un’antiversione dell’emibacino di sinistra rispetto al destro.

L’attività metabolica e stata stimata indirettamente tra i 5,3 e i 13 METs, a seconda della popolazione di piloti e dal setting dello sport motoristico (Beaune, Durand & Mariot, 2010; Reid & Lightfoot, 2019). Questi livelli di intensità metabolica sono equivalenti a quelli di altri sport, come nella pallacanestro e nel pugilato, suggerendo un importante impegno metabolico da parte dell’organismo del pilota (Reid &Lightfoot, 2019).

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