In questo articolo, Marica Bizzi analizza la fatica mentale nello sport analizzandola attraverso i task cognitivi più utilizzati.
Abstract: la fatica mentale è causata da un lungo e intenso compito cognitivo. Nelle ricerche svolte è stata analizzata attraverso task cognitivi, cioè dei compiti che prevedono una risposta rapida a uno stimolo visivo proposto. In questo elaborato saranno indicati i task più utilizzati e analizza la fatica mentale nelle prove d’endurance e nel calcio.
La Fatica Mentale (MF) è una particolare condizione psicosomatica indotta da un lungo e intenso compito cognitivo; è caratterizzata da una sensazione soggettiva di stanchezza e di carenza d’energia (Marcora, 2009). Il concetto è stato definito per la prima volta nel 1891 da un fisiologo italiano, Angelo Mosso, nel libro intitolato “La fatica”. L’argomento è stato ripreso solo nel 2009 da Samuele Marcora, ricercatore presso l’università di Kent in Inghilterra, che ha pubblicato uno studio sull’effetto della fatica mentale in una prova di endurance. Nelle diverse ricerche che si sono succedute, la MF è stata indotta attraverso l’utilizzo di task cognitivi, ovvero compiti che prevedono una risposta veloce a uno stimolo visivo proposto. I task sono spesso di lunga durata e ripetitivi, adatti quindi ad affaticare cognitivamente. Esistono diverse tipologie di task, ma i più diffusi sono: l’AX – Continuos Performance Test (AX-CPT), lo Stroop Task e il Psychomotor Vigilance Task (PVT). Nella figura 1, nell’ordine un esempio dei tre task.
AX-CPT
L’AX-CPT della durata di 90 min consiste in una sequenza di lettere che vengono visualizzate, una alla volta, in modo continuo sullo schermo del computer. I partecipanti dispongono di un box e vengono istruiti a premere il bottone adatto in base alla correttezza o meno del target proposto. Il target corretto consiste nella comparsa della lettera “A” che appare come battuta d’entrata (cue) e la lettera “X” che appare come prova (probe). Le altre lettere dell’alfabeto servono per invalidare la sequenza a eccezione delle lettere “K” e “Y”, escluse a causa della somiglianza con la “X”. La sequenza viene presentata in un ordine pseudo-randomizzato; il target corretto (AX) compare con una frequenza del 70%. Per accrescere la difficoltà, ulteriori due lettere di colore bianco “escono” di fianco al cue-probe (AX) di colore rosso. Le sequenze vengono presentate su fondo nero con una durata di 300 ms; ogni risposta persa o incorretta viene segnalata da un beep acustico. Ogni 30 min compare un feedback della performance come percentuale del massimo punteggio possibile.
Stroop Task
Lo Stroop colour-word task consiste in quattro parole (rosso, blu, verde e giallo) che vengono mostrate in ordine randomizzato. La versione cartacea della durata di 30 min, prevede cinque facciate di foglio A4 ognuna riempita con 45 parole. Ai partecipanti è richiesto di leggere ogni parola in base al colore dell’inchiostro stampato (rosso, blu, verde e giallo) e non al significato stesso della parola; per esempio se “verde” fosse stampato con inchiostro di colore blu, la risposta corretta sarebbe “blu”. Se invece l’inchiostro fosse di colore rosso, la risposta esatta corrisponderebbe al significato della parola. A ogni errore è richiesto di ricominciare da inizio riga. Nella versione al pc, le parole vengono visualizzate una alla volta su sfondo nero e nel 50% dei casi queste sono congruenti al colore dell’inchiostro. Ai partecipanti è richiesto di selezionare il bottone corrispondente alla risposta corretta. Ogni parola compare per un intervallo di 1.000 ms, seguito da ulteriori 1.000 ms di sfondo nero. Ogni risposta troppo lenta o non corretta viene evidenziata da un beep sonoro. PVT Il PVT viene svolto al computer e consiste nel premere un bottone nel minor tempo possibile quando appare sullo schermo uno stimolo. A ogni risposta è seguito il feedback sul tempo di reazione (rt) espresso in ms per la durata di 1 s. L’intervallo tra gli stimoli varia da 2 a 10 s (incluso il tempo per il feedback dell’rt). Un segnale d’errore viene visualizzato se l’rt supera 30 s (lapse). Esistono più versioni di PVT, la più breve (PVT-b) ha una durata di 3 min.
La fatica mentale nell’endurance
Il primo studio sull’argomento risale al 2009 e aveva il titolo Mental Fatigue impairs physical performance in humans (Marcora, 2009). È stato chiesto a un gruppo di eseguire un test a esaurimento su cicloergometro all’80% del picco massimo di potenza in due condizioni differenti; nella prima è stato mostrata agli atleti, prima del test, una serie di documentari della durata di 90 min, mentre nella seconda hanno eseguito un AX-CPT della medesima durata. A parità di parametri fisiologici si ha una conclusione anticipata del test nello stato di affaticamento mentale. Ciò è evidente nel grafico in figura 2, dove si può notare come vi sia una differenza nella percezione dello sforzo tra le due condizioni; infatti, nello stato di affaticamento mentale la RPE risulta fin dal principio maggiore. La conclusione anticipata dell’esercizio non è quindi stata determinata da una fatica fisica superiore, ma, secondo la teoria psicobiologica (Marcora, 2008), dal raggiungimento del massimo livello di sforzo, cui si è disposti ad arrivare e non a quello che realmente si è in grado di sopportare. Pageaux nel 2015, a tal proposito, ha provato a comprendere se l’effetto negativo della fatica mentale su un esercizio di endurance al cicloergometro fosse mediato dalla fatica centrale. Lo studio ha evidenziato una mancata corrispondenza tra i due fattori; infatti, la fatica mentale e quella centrale non sono causalmente correlate. Sempre nel medesimo anno è stata pubblicata un’evidenza che ha visto partecipi un gruppo di ragazzi australiani provenienti da diverse discipline di tipo intermittente. È stato chiesto loro di prender parte a un protocollo su treadmill non motorizzato della durata di 45 min, composto da 15 blocchi di 3 min a diverse intensità. Lo stato di affaticamento mentale è stato arrecato o meno con il medesimo protocollo utilizzato da Marcora. Come si può vedere dal grafico nella figura 3 la velocità media diminuisce maggiormente nella condizione di MF rispetto a quella di controllo. Il medesimo risultato si ha nelle fasi a bassa intensità, mentre non si denotano differenze in quelle ad alta intensità. Lo sforzo percepito è simile tra le due condizioni, si ha solo una percezione maggiore nella Session RPE nello stato di MF. È necessario sottolineare che il protocollo utilizzato rispecchia ciò che succede durante le prestazione di alcuni sport di tipo intermittente, come adesempio il calcio, caratterizzato da momenti ad alta intensità alternati ad altri a bassa e media intensità.
La fatica mentale nel calcio
Il 16 aprile 2014 l’ex allenatore del Barcellona Luis Cesar Menotti afferma di esser convinto che Lionel Messi stesse lottando per superare uno stato di affaticamento mentale; il 17 aprile 2014 mister Manuel Pellegrini ha affermato che il suo Manchester City era mentalmente affaticato e il 7 maggio 2014 Carlo Ancelotti ha dichiarato che il risultato del Real Madrid contro il Real Valladolid (1-1) è giunto come conseguenza di uno stato di affaticamento mentale. Nel calcio, quindi, si è soliti sentire affermazioni che associano una pessima performance a una condizione di affaticamento mentale, ma ciò non trova ad oggi fondamento a livello scientifico. Nel 2015 Smith ha pubblicato uno studio riguardante un test validato in ambito calcistico, lo Yo-Yo IR1 (Bangsbo, 2008). In seguito a uno Stroop Color Task della durata di 30 min, la distanza dello Yo-Yo test risulta decisamente minore nello stato di MF (1.203±402 m) rispetto alla condizione di controllo (1.410±354 m) a causa della medesima teoria motivazionale citata sopra. In due test sport specifici riguardante la capacità di passaggio e di tiro (Loughborough Soccer Passing Test e Loughborough Soccer Shooting Test), l’accuratezza di entrambe le capacità diminuisce nello stato di MF così come aumenta la Session RPE. La condizione di affaticamento mentale, infatti, porta un aumento medio di circa 4.5 s nel tempo di penalità nel test sul passaggio, della velocità di tiro di circa 3 Km/h e dei punti eseguiti nel test sul tiro in porta. Nel tentativo di avvicinarsi il più possibile a una situazione reale, in uno degli ultimi studi pubblicati (Smith,2016), un gruppo di giocatori – dopo essere stato sottoposto ad affaticamento mentale col medesimo protocollo dello studio sopracitato – ha eseguito un Decision Making Task. Si tratta di assistere attivamente a proiezioni di diverse situazioni tattiche; in sostanza è stato chiesto loro di premere alcuni pulsanti in base all’azione di gioco più corretta da intraprendere, nel minor tempo possibile. L’accuratezza nel prendere decisioni risulta significativamente più bassa in tre situazioni di gioco su cinque in condizione di MF (3 vs 1, 3 vs 2, 5 vs 3), mentre il tempo di reazione allo stimolo proposto risulta decisamente maggiore in tutte e cinque le situazioni (2 vs 1, 3 vs 1, 3 vs 2, 4 vs 3, 5 vs 3). Badin ha recentemente indagato l’effetto della FM su un tipico mezzo d’allenamento nel calcio, gli Small Sided Games (SSG). Gli SSG sono situazioni di gioco reale a numero di giocatori e a dimensioni del campo ridotte con obiettivo specifico. L’effetto dello stato di affaticamento mentale su uno SSG della durata di 15 min ha mostrato, a parità di parametri fisici, un peggioramento della performance tecnica, in particolare della tecnica difensiva e offensiva (tabella A). Il dato che maggiormente è evidente risulta il numero di Control Error che presenta un errore medio circa in più in condizione di MF rispetto a quella di controllo.
Conclusioni
La fatica mentale indotta in condizioni sperimentali porta alla conclusione anticipata di un esercizio di endurance sul cicloergometro a causa dell’aumentata percezione dello sforzo e diminuisce la velocità di corsa durante un protocollo intermittente su treadmill in laboratorio. In campo, causa una diminuzione della distanza percorsa durante uno Yo-Yo IR1, il peggioramento della precisione del tiro, del passaggio e della capacità decisionale. Infine, provoca un peggioramento della tecnica difensiva e offensiva durante gli SSG senza effetti sulla performance fisica.
Il futuro
Cosa potrebbe succedere se allenassimo “la resistenza mentale” utilizzando task cognitivi? Negli studi mostrati lo stato di affaticamento mentale veniva indotto prima di effettuare la performance. Durante una prova fisica si ignora l’evidenza della presenza concomitante di impegno fisico e cognitivo. In un articolo del 2014, Walsh afferma che le prestazioni fisiche di alto livello rappresentano per la mente una sfida a tal punto elevata che può essere paragonata solo alla sensazione provata dai soldati in guerra. De Wall in uno studio del 2007, invece, sostiene che uno stato di affaticamento mentale può portare più facilmente a reagire negativamente alle provocazioni. Questa ricerca può indurre a riflettere sulla reazione di Zinedine Zidane nei confronti di Marco Materazzi durante i Mondiali del 2006, che facilitò all’Italia il compito di conquistare il titolo. Sorge, pertanto, inevitabilmente il dubbio di cosa sarebbe potuto accadere se la provocazione fosse giunta ad inizio partita e non a ridosso dei calci di rigore. Tornando, però, alla domanda iniziale, tanti potrebbero essere ipoteticamente i vantaggi nell’allenare la resistenza mentale. Per iniziare bisognerebbe stabilire un appropriato Brain Endurance Training, che preveda un alto mantenimento dell’impegno cognitivo durante tutta la sessione d’allenamento, attraverso task cognitivi ripetuti da eseguirsi nei momenti di recupero, somministrati più volte a settimana per diverse settimane (figura 4). Dopodiché si dovrebbe valutarne l’effetto sui test calcio-specifici già eseguiti in letteratura al fine di capire le conseguenze sulla performance. L’ipotesi che ci si pone è vedere un esito sulla capacità di sopportare il carico cognitivo, sulla percezione dello sforzo e ricercare un miglioramento globale della performance.